Il diario dei segreti
Jake trascorre sempre il Natale al Santuario uno.
Sin dalla sua infanzia, la cabina nascosta nei boschi è stata la meta della sua famiglia per le festività, e ora, con l’avvicinarsi del terzo anniversario dalla morte del padre, Jake organizza una breve vacanza per se stesso, Kayden e Beckett. Purtroppo, una tempesta di neve blocca il fratello e il suo ragazzo a New York e Jake si ritrova da solo in montagna.
Sean è in fuga e l’unico posto dove può rifugiarsi è una cabina di cui si fa cenno in un vecchio diario: la prima casa protetta del Santuario. La cabina non è più usata a scopo protettivo, ma sarebbe comunque un buon riparo dove potersi prendere cura delle proprie ferite e fare un bilancio della propria vita.
Nessuno dei due uomini è preparato a trascorrere una settimana di isolamento in reciproca compagnia e neppure a fronteggiare i segreti che minacciano di ucciderli entrambi.
Santuario Series
Libro 1 – Proteggere Morgan
Libro 2 – L’unico giorno facile
Libro 3 – Il momento della verità
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Estratto
Capitolo 1
Percorrere l’autostrada I-87 verso nord diede a Jake un mucchio di tempo per pensare. La sua mente passò dai casi alla redistribuzione delle risorse, dalla famiglia al Santuario. Il paesaggio fuori dal finestrino, macchie sfumate di verde e grigio cemento, scorreva chilometro dopo chilometro e nella sua testa Jake spuntava tutto quello che aveva bisogno di accantonare per poter programmare i passi successivi. Maria se la sarebbe cavata bene alle Ope, meglio trasferirla a quella sezione. Manny e Josh dovevano lavorare al seguito del caso Bullen; Joseph aveva lasciato un messaggio per Dale dicendo che stava tornando a casa e, diavolo, Beckett doveva cominciare l’addestramento se pensava di fare coppia con Kayden.
“Terra a Jake.”
Parli del diavolo e spuntano le corna. La voce allegra del fratello gli arrivò nell’auricolare, interrompendo la quiete.
“Ciao,” lo salutò lui. Mise la freccia e si spostò per superare un camion particolarmente lento che trasportava tronchi, poi si concentrò sul rientrare nella propria corsia.
“Vuoi prima le belle o le brutte notizie?” chiese Kayden. Jake si sentì sprofondare lo stomaco. Aveva visto le previsioni del tempo prima di partire: sapeva quali sarebbero state le brutte notizie.
“Prima il pugno,” sospirò.
“Siamo bloccati dal ghiaccio.” Kayden e Beckett erano a New York e l’ondata di gelo sulla cui scia, secondo le previsioni, sarebbero caduti più di trenta centimetri di neve stava causando seri problemi anche a una città abituata a essere imbiancata. “Ho la sensazione che non ce la caveremo tanto in fretta.”
“Nessun problema,” lo rassicurò Jake. Non era la prima volta che il maltempo li costringeva a ritardare una visita alla baita e non sarebbe stata l’ultima. “Non vorrei sapervi per strada neanche se riuscissero a renderle di nuovo percorribili.”
“Il fronte della bufera ti sta raggiungendo a nord, Jake. Se fossi in te mi fermerei in qualche Motel 6. Prenditela comoda.”
Jake sbuffò all’idea di un Motel 6. Non avrebbe dormito in una di quelle catapecchie neanche morto, non dopo lo scarafaggio che ci aveva trovato qualche anno addietro. E, in ogni caso, poteva fare senza. Non aveva bisogno di un navigatore per sapere dove si trovava. “Sono a dieci miglia dall’uscita.”
“Diavolo, stai già salendo?” Kayden sembrò sorpreso, ma il viaggio era andato piuttosto liscio fino a quel momento. Si era fermato solo una volta per bere un caffè e per assecondare la sua passione per il cioccolato, e poi si era rimesso subito in marcia.
“Immagino di non dovervi aspettare neanche per domani, o sbaglio?”
“Mi dispiace. È tutto pronto ma non c’è verso di uscire dalla città, non nelle prossime ore, almeno. Proveremo il ventitré.”
“Non preoccuparti, fratello, ci sarà un caos inimmaginabile per strada. Resta dove sei e goditi il Natale lì a New York insieme a Beckett.” Guardò lo specchietto retrovisore: la brutta tempesta di neve si stava davvero avvicinando. “Sembra che la bufera mi abbia raggiunto.” Rise, anche se non si sentiva troppo dell’umore.
Si era già trovato murato dalla neve su alla baita. Molte vacanze insieme alla famiglia erano trascorse in quel modo: senza la possibilità di lasciare la montagna. Solo che… quel Natale era il terzo dalla morte del padre e lui, egoisticamente, avrebbe voluto trascorrerlo insieme a Kayden e, per estensione, anche a Beckett. La presenza del fratellastro lo avrebbe aiutato a tenere vivi i ricordi che aveva dei genitori e di loro due prima che tutto finisse così all’improvviso. La scomparsa di Max e Emma in un incidente aereo su quelle stesse montagne aveva ribaltato le loro vite in un momento, come solo la morte può fare.
“Pronto per le buone notizie?” chiese gentilmente Kayden, insinuandosi, con le sue parole, dentro al ricordo di un tempo più felice.
“Perché, ci sono anche delle buone notizie?”
“Manny ha fatto dei progressi con il caso Bullen ed è riuscito a decifrare qualche altro file criptato.“
“Che ha trovato?” Jake rallentò per imboccare la deviazione che portava fuori dalla I-87 e slittò leggermente sul sottile strato di neve e ghiaccio che si era accumulato sull’asfalto. Il fuoristrada riuscì però ad arrampicarsi su per la strada scivolosa e irregolare. I fiocchi presero a vorticargli intorno, leggiadri, soffici e bellissimi, ciascun cristallo che scendeva seguendo un suo percorso individuale guidato dal vento leggero. Naturalmente, non sarebbe durata ma il momento in cui la neve cominciava a cadere era uno spettacolo capace di ammaliarlo ogni volta.
“Ci sono dei file che riguardano l’FBI: liste di persone sotto controllo, contatti e roba del genere,” stava intanto dicendo Kayden.
Il caso Bullen si era concluso, per quello che riguardava il Santuario, con l’arresto del Senatore e di suo fratello Alastair. Ufficialmente concluso, perlomeno. In realtà Jake aveva dato ai suoi agenti il permesso di continuare a lavorarci individualmente, al di fuori delle missioni ordinarie. Non era stato il solo a rimanere scontento di come la vicenda era stata chiusa: troppi legami con terze parti lasciati nell’ombra. Non da ultimi quelli con l’FBI e Sean Hanson.
Dio, ogni volta che pensava a Sean, a come l’uomo aveva fatto il doppio gioco sia nei confronti dell’FBI che del Santuario lavorando per i Bullen, si sentiva travolgere dalla rabbia e dall’amarezza. Lo stronzo aveva operato come agente di collegamento fra il Bureau e la sua organizzazione, vendendo entrambi. Per cosa? Soldi? Manny non aveva trovato tracce di denaro, e sì che si era impegnato a cercare. A fondo.
“Stai pensando a Sean, vero?” lanciò il sasso Kayden, dimostrando ancora una volta di sapere perfettamente cosa gli passasse per la testa. Magari erano fratelli adottivi, ma era inquietante il modo in cui riuscisse a leggergli nei pensieri.
“No,” mentì lui.
“Bugiardo. Manny ha scoperto qualcosa anche su di lui, e cioè che aveva accesso ad alcuni conti bancari. È riuscito a ripercorrere la traccia lasciata dai soldi e purtroppo non depone bene a favore del bastardo. Depositi regolari da due fonti, una delle quali può essere collegata direttamente ai Bullen.”
Ogni barlume di speranza che Sean potesse essere ancora considerato uno dei buoni si spense in quell’esatto momento. Era stato pagato in cambio di informazioni e poi si era volatizzato quando il suo trasferimento verso una prigione federale era stato dirottato e lui liberato e fatto scomparire, quasi la terra l’avesse inghiottito. Incredibilmente bravo nel suo lavoro, da quel momento in poi era riuscito a sfuggire persino al normalmente infallibile Manny.
Jake si concentrò un secondo sulla biforcazione che aveva davanti e prese la strada di sinistra, quella che portava ancora più in alto sul fianco della montagna.
“Dobbiamo indagare ancora su di lui,” insisté poi, come se Kayden o Manny o chiunque altro al Santuario la pensasse diversamente. Il bastardo aveva fatto in modo di piacere a tutti: si era presentato come il perfetto agente FBI, con un sorriso che illuminava la stanza e un cervello sopraffino. Era entrato nella sua vita e l’aveva messa a soqquadro e poi, senza neanche battere ciglio, li aveva traditi tutti. Perché pensarci in quei termini gli faceva tanto male? Perché?
“Sei sicuro che te la senti di startene lassù tutto da solo?” chiese Kayden. Era chiaro che stesse cercando di cambiare discorso e Jake non poteva che essergliene grato.
“Più cibo di quanto me ne serva, un generatore con un mese di autonomia, libri, internet, una sala con i computer per il lavoro, la TV, una sauna e una doccia con bagno turco. Credo che me la caverò.”
Kayden fece un verso gutturale, forse con un pizzico d’invidia. La baita poteva anche essere vecchia, ma in quanto a lussi e comodità non le mancava niente. “Promettimi solo una cosa, Jake…”
Perfetto. Ora Kayden stava usando il tono di voce alla ‘sono tuo fratello, ti voglio bene e mi preoccupi’.
“Cosa?” sbottò un po’ esasperato. Era perfettamente consapevole di quale richiesta sarebbe arrivata e si era già messo sulla difensiva. Stava per dirgli di non lavorare, di dormire, mangiare e tutta l’altra roba che gli ripeteva quando era in pensiero per lui. Jake odiava quando Kayden entrava in modalità dottore.
“Cerca almeno di ritagliarti un’ora al giorno in cui non pensi al lavoro, okay?”
Jake rimase un po’ interdetto dal tono gentile. Lui e Kayden avevano un buon rapporto, ma il fratello era più il tipo che ti ordinava di fare qualcosa anziché chiederlo. Era chiaro che Beckett lo stesse ammorbidendo.
«Contaci.” Non gli costò niente prometterlo. Dopotutto doveva pur dormire, e non tutti i suoi sogni giravano attorno al Santuario. Alcuni, quelli che fingeva di non fare, riguardavano Sean.
Chiusero la telefonata e Jake guidò il Suv per l’ultimo chilometro prima della baita, passando vicino alle piazzole del campeggio. Vuote e spolverate di neve, il loro aspetto solitamente disordinato era ingentilito da quella bianca coltre che le faceva apparire quasi belle. Imboccò la strada privata e dopo qualche centinaio di metri dovette fermarsi. C’era un albero che bloccava il passaggio e Jake non seppe impedirsi di sorridere quando lo vide. Erano anni che minacciava di cadere e ogni Natale suo padre aveva ripetuto che dovevano tagliarlo. Con una sensazione di calore nel cuore, decise che quella sarebbe stata la volta buona: lo avrebbe fatto a pezzi con la motosega e poi avrebbe trasportato i ciocchi fino alla baita. Ovviamente, però, non era quello il momento giusto, anche perché doveva camminare un po’ per raggiungere la cabina e la neve stava cominciando a cadere con più intensità.
Dopo aver parcheggiato a lato della strada per lasciare spazio a Kayden nel caso fosse riuscito a raggiungerlo, e con il ricordo del papà e dei Natali passati a scardargli il cuore, si mise in spalla lo zaino e prese il borsone. Nessuno dei due era particolarmente pesante; qualche libro, il Kindle, un computer portatile e un po’ di vestiti. La baita era una casa lontano da casa e c’era un armadio pieno di abiti adatti alla vita all’aperto. Percorrere la breve distanza nella fredda aria montana fu come farsi una doccia gelata: ogni cellula del suo corpo era viva e sprigionava energia per tenerlo al caldo, mentre dalla bocca gli uscivano piccole nuvolette bianche ogni volta che respirava.
C’era abbastanza neve per terra da far scricchiolare il terreno sotto i suoi piedi, ma non a sufficienza da nascondere la strada e i punti di riferimento che ricordava dalle visite di tutta una vita. Il grosso abete che Kayden aveva scelto come albero di Natale quando era entrato a far parte della famiglia, salvo poi decidere che era il suo albero e meritava di crescere alto e rigoglioso. Le rocce coperte di arbusti e neve dove erano soliti sedersi e parlare quando erano ragazzi. Le stesse dove Kayden gli aveva raccontato com’era stata la sua vita prima che fosse recuperato dalla Comune fondata dal padre naturale. Dove avevano parlato della morte di quello stesso padre. Dove Kayden gli aveva rivelato i suoi sogni e le sue speranze, e dove Jake aveva capito che il suo nuovo fratello era un mezzo genio in grado di primeggiare nel calcolo avanzato e in biologia senza neanche dover studiare.
Per la parte finale della camminata il terreno era più piano e alla fine Jake spuntò dietro l’ultimo albero. La bellezza della scena che gli si parò davanti gli rubò per un attimo il respiro. La baita era esattamente come la ricordava dalla sua ultima visita ad aprile. Con il tetto basso e su un unico livello, occupava la porzione arretrata di una radura di circa mezzo ettaro e aveva un vasto spiazzo sul davanti. Circondata da uno steccato, era in quel momento coperta da un sottile strato di neve che le dava un’aria quasi incantata. Sorridendo al pensiero della pace che lo aspettava all’interno, coprì gli ultimi passi e digitò il codice di accesso.
Dopo aver battuto i piedi per terra per far cadere la neve dagli stivali, si chiuse la porta alle spalle e si liberò dello zaino e del giaccone. Il riscaldamento era acceso e Jake mandò un ringraziamento mentale ai suoi vicini, gli O’Brien, che abitavano a circa cinque chilometri di distanza. Erano stati iniziati già molto tempo prima ai segreti della Fondazione e, quando nessuno di loro era presente, tenevano d’occhio la cabina che una volta era stata il Santuario uno. Era parecchio che la baita non veniva più usata come casa protetta per nascondere i testimoni, ma i suoi sistemi erano aggiornati costantemente, come quelli delle altre cabine ancora attive. Purtroppo, la vicinanza con un sentiero turistico piuttosto frequentato aveva fatto sì che tornasse di proprietà di suo padre e, alla morte di quest’ultimo, sua e di Kayden.
Superato il disimpegno, Jake andò dritto nella camera che si affacciava sul lato destro del corridoio. Lasciò i bagagli ai piedi del letto e si stirò nel tentativo di sciogliere i muscoli dopo le ore al volante e la camminata al freddo. Poi, tazza di caffè bollente in mano per scaldarsi meglio, sedette davanti agli schermi dei due computer nella piccola sala comunicazioni. Dopo essersi loggato, diede un’occhiata alle sue email. Manny faceva da filtro e gli passava solo quelle davvero importanti. C’era l’invito a una raccolta fondi in marzo, perfetta per il milionario Callahan. Jake odiava quel genere di serate, ma spesso gli procuravano contatti interessanti, quindi non erano davvero una perdita di tempo. Dopo aver segnato la data nella sua agenda, passò alle altre due email. La prima era una richiesta di autorizzazione per un nuovo agente e la seconda una freddura che gli aveva inoltrato Manny stesso.
Collegandosi al suo geniale braccio destro, sorrise quando lo vide apparire sullo schermo.
“Sei in vacanza,” lo ammonì il giovane. Aveva un’espressione seria sul viso, ma gli occhi ridevano.
“Kayden dice che hai delle informazioni.”
“Ehi, ciao anche a te,” rispose Manny, scuotendo la testa.
“Ciao Manny, come stai? Come sta Josh? Che informazioni hai?”
Manny fece un sorriso splendente. “Josh sta bene. Tutto perfetto qui.”
I due si erano nascosti in una casa protetta in Canada dopo l’arresto del Senatore – troppe persone volevano servirsi di Josh per far sì che suo padre ritrattasse la propria testimonianza – e, finché i Bullen non fossero stati definitivamente fuori dai giochi, era lì che sarebbero rimasti. Jake sentiva la mancanza di Manny e del suo irrefrenabile buonumore: lo considerava la parte migliore di se stesso, quella che lo calmava, gli organizzava la giornata e gli diceva come andavano le cose.
“In ogni caso,” continuò Manny, “sembra che ci sia tutto un nuovo livello di collegamenti che ci stiamo perdendo, incluso qualche tipo di legame con l’FBI. Ho trovato solo qualche appunto e alcuni file cancellati che sto cercando di ricostruire, ma ormai è chiaro: i Bullen non solo hanno messo una persona all’interno del Santuario, ma usavano la stessa talpa anche per l’FBI.”
“Riesci a collegare Sean a entrambi?” Jake si sentì stringere lo stomaco. Aveva voluto credere nell’uomo, ma ormai sembrava che non si potesse più negare che fosse un traditore.
“No, niente di esplicito, ma continuo a lavorarci.”
“Bene.” Pensò di fare a Manny la stessa raccomandazione che Kayden aveva fatto a lui, e cioè di prendersi qualche ora, ma poi cambiò idea. Se lo avesse preso e tagliato a metà, poteva star certo che gli avrebbe trovato la scritta Santuario incisa dentro le ossa. Era coinvolto tanto quanto lui, ma perlomeno ora aveva qualcuno. Nonostante vivesse esiliato dal centro nevralgico della Fondazione, stava insieme al ragazzo che gli aveva rubato il cuore e, cosa più importante, era stata una sua scelta. Un giorno sarebbero tornati, ma non prima che Manny avesse avuto la certezza che Josh sarebbe stato al sicuro. Esattamente come Morgan, anche il giovane Headley sarebbe sempre stato un bersaglio per la famiglia che aveva contribuito a distruggere.
“Hai ricevuto un’email da Owen Reynolds, ma è arrivata a un indirizzo generico. Te la sto girando adesso insieme agli allegati.”
Owen? Non lo sentiva da… non ricordava neanche più quanto. Marzo, forse. Miglior amico di suo padre, ex FBI, ex agente speciale e consulente quando Max aveva messo in piedi il Santuario, l’uomo aveva passato più tempo all’estero che in patria. L’email arrivò. Erano gli auguri di Natale e una foto di Owen e di sua moglie Martha insieme ai loro cani, tre alani grossi e pacifici.
“Arrivata.”
“Per il momento siamo a posto. Tutto tranquillo. Solo il lavoro di routine.”
“Quanti incarichi abbiamo sotto Natale?”
“Non devi…”
“Manny, fai il resoconto come al solito, per favore.” Aveva aggiunto il per favore per mitigare l’impatto dell’ordine. Manny stava solo cercando di farlo rilassare, ma lui non aveva intenzione di andare in letargo per tutta la settimana, anzi, avrebbe lavorato e analizzato quegli aspetti che normalmente non aveva il tempo di considerare in ufficio.
“Abbiamo sette casi che si protrarranno fin oltre le Feste. Uno è una famiglia con due bambini.”
“Hai organizzato…”
“Sì, Babbo Natale passerà come al solito.” Il sorriso di Manny si allargò e Jake si trovò a rispondere allo stesso modo. Cercavano sempre di farlo quando c’erano dei bambini nelle case protette nel periodo natalizio; una tradizione che avevano cominciato quando avevano dovuto affrontare il loro primo caso con una famiglia al completo, poco dopo che Jake aveva preso in mano le redini della Fondazione.
Manny continuò: “Gli altri sei sono adulti. E gli agenti a disposizione sono Dale e Michaela, così possiamo coprire le emergenze, anche se questa neve ha bloccato tutto. Dale mi sta anche aiutando a chiarire qualche dettaglio in sospeso del caso Bullen.”
Poi Manny si scollegò con la raccomandazione finale di correre a farsi un bel bagno caldo per rilassarsi con la R maiuscola. Jake digitò una breve risposta a Owen per ringraziarlo degli auguri. Aggiunse anche che presto gli avrebbe scritto in maniera più esaustiva. L’uomo era sempre stato Zio Owen per lui e Kayden ed era stupido da parte loro non mantenere i contatti, anche perché era stato quasi un fratello per suo padre.
Spedì l’email e si appoggiò allo schienale della sedia, lo sguardo fisso sul monitor nero. Quelle prime ore alla baita erano sempre le più difficili. Sentiva una specie di senso di colpa perché non stava lavorando e al tempo stesso era consumato dalla smania di fare qualcosa, qualsiasi cosa, anziché stare lì seduto a guardare il proprio riflesso in uno schermo buio. Non prendeva altre vacanze durante il corso dell’anno, ma la sua famiglia aveva sempre trascorso il Natale lì al Santuario uno e, quando il periodo si avvicinava, il suo orologio interno gli segnalava che era giunto il momento di chiudere i battenti. Kayden gli aveva detto che aveva l’aria stanca, esausta addirittura, e Jake sapeva che da una parte dipendeva dal lavoro, ma dall’altra la sua mente era occupata da tutta serie di pensieri di natura personale.
Erano stati dodici mesi particolarmente impegnativi e lui non sapeva neanche da che parte cominciare a cercare di capire quanto fosse davvero stanco. Il Santuario era tre volte le dimensioni che era stato lo stesso periodo dell’anno precedente. I casi erano aumentati a dismisura, così come era cresciuto il numero degli agenti, per ognuno dei quali si sentiva personalmente responsabile. Amava il suo lavoro, gli piaceva ogni aspetto di ciò che faceva, ma era davvero sfinito. Stanco e, a essere onesto, anche deluso. Eccolo il colpo di scena: era deluso. Accidenti al maledetto Sean e ai suoi occhi grigi, che gli avevano fatto credere di potersi fidare di lui. Aveva visto Nick e Morgan mettersi insieme. Aveva visto Manny innamorarsi di Josh, e Dale trovare la sua anima gemella in Joseph, il suo SEAL. Cristo, persino suo fratello non era più da solo. Era possibile e, per qualche meravigliosa settimana, Jake aveva intrattenuto la speranza che anche lui potesse, finalmente, stare insieme a qualcuno che lo rendesse felice.
L’attrazione e il desiderio si erano però trasformati in disprezzo, senso di colpa e nella sensazione orribile di essere stato nient’altro che una marionetta nelle mani di un abile burattinaio. Eppure, nonostante l’odio che provava per lui, Jake ricordava ancora il sapore di Sean, la sensazione del suo corpo fra le braccia. Si erano girati intorno come due soldati sul campo di battaglia, la seduzione e i baci come arma, e Jake si era mezzo innamorato solo immaginando quello che avrebbero potuto avere. I piani per non rivelare più del dovuto si erano scontrati con il bisogno istintivo di allungare la mano. Se Sean non si fosse tirato indietro sarebbero stati amanti e solo Dio sapeva il disastro che ne sarebbe seguito. Jake non si limitava a essere stanco dopo un anno trascorso a gestire un’impresa come il Santuario, era anche arrabbiato, insofferente, triste e… era arrivato al capolinea, tutto lì.
Meglio che se ne stesse rintanato in montagna a leccarsi le ferite, e probabilmente era addirittura un bene che Kayden e Beckett non riuscissero a raggiungerlo. Guardò i regali che aveva comprato per i due uomini e all’improvviso si sentì sommergere da una stupida ondata di nostalgia. La carta argentata gli ricordava il colore degli occhi di Sean. Cazzo!
Meglio andare a farsi dell’altro caffè.
Capitolo 2
Sean Hanson era fottuto.
Non c’era verso che quella merdosa Toyota riuscisse a seminare il grosso fuoristrada che lo stava tallonando. Aveva preso la prima macchina di cui era riuscito a trovare le chiavi, peccato che fosse quella della segretaria del Senatore. Maledetto pezzo di ferraglia! Un paio di pallottole colpirono la carrozzeria e lui sbandò verso un furgone che proveniva dalla direzione opposta e che solo all’ultimo secondo riuscì a evitare di schiantarsi contro gli alberi. Non per la prima da quando aveva lasciato New York, Sean maledisse la decisione di essere tornato a recuperare il diario. Quei maledetti fantasmi che gli sussurravano nella testa e che gli avevano fatto venire il cuore tenero! E ora eccolo, lungo la I-87, inseguito da tizi armati mentre sopra di loro le nuvole spargevano quintalate di neve come se volessero svuotarsi tutto in una volta. Una pallottola si conficcò nello sportello proprio mentre percorreva una curva e Sean fece una smorfia. La bufera non faceva distinzioni tra il grosso fuoristrada e la sua piccola utilitaria con le ruote lisce, ma gli inseguitori erano comunque in vantaggio. Secondo il navigatore mancavano venti e passa chilometri alla deviazione, dopodiché c’era ancora dell’altra strada da fare prima di arrivare alla baita.
Si sentì attraversare da un’ondata di dolore proprio mentre con una manovra azzardata superava un Chevy, il cui autista non aveva chiaramente mai visto la neve prima di allora. La sofferenza gli arpionò il petto come una morsa nel momento in cui girò il volante. Gli avevano sparato e la pallottola gli aveva attraversato la carne da qualche parte nella spalla destra. Faceva un male del diavolo!
Il cellulare emise un beep per indicare che il trasferimento del primo file era stato completato e il suo livello di ansia calò leggermente.
“È arrivato tutto?” chiese all’improvviso.
“Tutto il primo file, il secondo sembra non riuscire ad andare oltre il sessantasette percento. Vediamo che possiamo fare,” rispose Owen Reynolds. “Dove sei?”
Sean cercò di disperdere l’adrenalina e concentrarsi su quello che gli era stato chiesto. Il suo orologio era in pezzi quindi Owen non aveva modo di rintracciarlo. Doveva cercare di riprendere i controllo di sé e fornirgli una posizione. “Ho appena passato il cartello che indicava Brant Lake sulla I-87. Mi stanno ancora dietro.”
“FBI o Bullen?”
“Non lo so. Un grosso Suv nero con i finestrini oscurati e gente armata.”
“Liberatene.” Sean avrebbe preferito pensare che ci fosse della preoccupazione nella voce decisa dell’uomo, ma tutto quello che riuscì a percepire fu il tono di comando. Chiaramente, però, era quello che gli serviva, perché sbatté le palpebre per scacciare la sensazione del dolore dalla testa e dal petto e si concentrò su quello che stava facendo. Perdeva troppo sangue. Doveva fermarsi e improvvisare una fasciatura, ma gli inseguitori non gli lasciavano spazio per pensare. L’unica cosa che aveva in mente era raggiungere il posto che Max gli aveva indicato, dove sarebbe stato al sicuro. Aveva fatto il doppio gioco con troppe persone e ora sembrava che tutti lo volessero morto.
“Ci sentiamo dopo,” sibilò, mentre un’altra ondata di dolore lo investiva. Dopo aver toccato l’icona ‘fine chiamata’ guidò la macchina attraverso la bufera, premette il pulsante per aprire il finestrino e impugnò la pistola con la mano sinistra. In genere era destrorso, ma in quel momento il braccio buono era fuori uso per via della ferita. Sperava solo che la sua mira fosse discreta anche con l’altra mano. Con ogni singolo brandello di forza diretto al raggiungimento del suo scopo, aspettò fino all’inizio della curva successiva e, quando intravide il punto in cui mirare, sparò una raffica di colpi. La SIG rinculò nella sua mano e Sean usò la scossa di dolore per riscuotersi dalla sonnolenza che cominciava a insinuarsi nella sua mente. Il Suv alle sue spalle sbandò mentre due gomme si sgonfiavano e poi scivolò attraverso la strada, andando infine a schiantarsi contro un albero.
Ne sarebbero tutti usciti illesi, ma perlomeno la minaccia immediata era neutralizzata. Premette il pulsante per chiudere il finestrino prima che la neve si accumulasse anche all’interno e poi cercò di riprendere il controllo della macchina, che aveva cominciato a slittare a sua volta sull’asfalto scivoloso. La I-87 era praticamente deserta, e Sean ringraziò l’opportuna bufera di neve per quel regalo inaspettato: faceva in modo che la gente restasse a casa e gli girasse alla larga. Cercò di rimettere la pistola nella fondina, ma invece gli scivolò di mano e cadde sul tappetino. Ma non gli serviva più. Nessuno lo inseguiva. L’avrebbe ripresa quando si fosse fermato.
Dieci chilometri all’uscita, qualche altro prima che la strada si biforcasse e poi un ultimo tratto per raggiungere la baita. Max aveva detto che ci sarebbero stati dei medicinali, delle coperte e probabilmente del cibo. Un posto dove nascondersi e ‒ udite, udite ‒ proprio una delle case protette del maledetto Santuario. Cristo, se qualcuno nella squadra di Jake si fosse accorto che stava usando uno dei loro rifugi sarebbe stato fregato. Se invece se ne fosse accorto Jake? Meglio non pensarci.
Jake. Doveva dirgli che gli dispiaceva quando tutto fosse finito. Lo odiava, glielo aveva letto in faccia. Diavolo, considerato che l’uomo aveva impiegato mesi per fidarsi di lui e abbassare la guardia, doveva avergli fatto un male cane quando lo aveva tradito insieme a tutta la sua squadra. Il dolore continuava a tormentargli la spalla e dovette sbattere gli occhi per contrastare l’incoscienza che minacciava di sprofondarlo nel buio. Non avrebbe voluto guardare, ma doveva. Guidando con cautela servendosi di una sola mano, abbassò lo sguardo e tirò indietro il maglioncino e la maglietta: troppo sangue per i suoi gusti, e troppo dolore. Sperò che il proiettile non avesse intaccato nessun organo vitale.
L’uscita gli si presentò davanti all’improvviso, costringendolo a frenare con più forza di quanto avrebbe voluto. La macchina slittò sull’asfalto e poi si spense. Dopo aver riavviato il motore, Sean fece marcia indietro sulla strada normalmente molto trafficata e riuscì a imboccare lo svincolo, ma le gomme sottili gli facevano sentire ogni avvallamento e dosso, mentre la sua testa colpiva il tettuccio più volte di quante si prendesse la briga di contarne. Se non fosse morto dissanguato l’avrebbe fatto a causa di una commozione cerebrale.
Quando giunse alla biforcazione voltò a sinistra. Le ruote posteriori scivolarono e Sean si trovò costretto a decelerare fino a fermarsi completamente. Se non fosse stato per il sangue, le pistole e la cazzo di bufera di neve, si sarebbe messo a ridere. Premette di nuovo l’acceleratore e la macchina cercò di muoversi, ma rimase bloccata nella neve sempre più alta. Ci mise un po’ più di forza e fu sorpreso quando le ruote si liberarono all’improvviso catapultandolo in avanti. Sean cercò di riprendere il controllo ma non ci fu niente da fare e la vettura cominciò a sbandare e scivolare. Vide un altro veicolo, un 4×4 fermo a lato della strada e poi, di fronte, una massa indefinita, un muro, un muro bianco in mezzo alla strada. La sua Toyota lo colpì in pieno e praticamente rimbalzò, scivolando dall’altra parte rispetto a dov’era il Suv. Sean non poté fare altro che tenersi e imprecare a più non posso, mentre la macchina si inclinava e scivolava all’indietro verso il ciglio della strada, adagiata sul fianco. Alla fine si fermò e lo slancio lo sbalzò prima in avanti e poi indietro, mentre la cintura gli premeva dolorosamente sul petto e contro la spalla ferita. Vide dei puntini neri ondeggiargli davanti agli occhi e inspirò a fondo attraverso il dolore, con boccate angosciose e affannate. Sbatté di nuovo gli occhi e cercò di concentrarsi sulla sua situazione… storta.
“Merda!”
Non vedeva niente dal finestrino del suo lato e solo la neve che cadeva da quello del passeggero, orientato verso il cielo. Contro cosa diavolo ho sbattuto? Merda! Non poteva essere troppo lontano dalla baita e avrebbe camminato per il resto della strada, se solo fosse riuscito a uscire da quella dannata macchina. Con cautela si tastò il braccio e le dita scivolarono sul sangue appiccicoso e viscido che colava dalla spalla. Si fermò un attimo per valutare la situazione e provò a muovere ciascun muscolo separatamente, sollevato dal fatto di non essere intrappolato. Bene, il pericolo immediato era quasi pari a zero, escludendo il sanguinamento, ma aveva già sanguinato in passato e sapeva che tutto sarebbe andato a posto. La cintura era bloccata e l’unico modo per uscire era tagliarla. Contorcendosi per raggiungere la tasca, ne astrasse il coltello a serramanico e cominciò a intaccare lo spesso materiale. Sentì qualcosa gocciolargli sull’occhio e, quando si passò il dorso della mano sulla fronte, trovò altro sangue.
Grandioso! A quanto pareva aveva sbattuto la testa, probabilmente procurandosi anche una commozione cerebrale. Con un suono gutturale si rese conto che forse quello spiegava perché gli facesse male: un’altra cosa di cui preoccuparsi. La cintura finalmente cedette, ma non essere più sostenuto significò crollare contro il finestrino piantato per terra. Gli faceva male tutto. Cercò la borsa e alla fine vide una maniglia, ma era incastrata sotto il sedile del passeggero. Dov’era la sua SIG? Era caduta per terra e gli serviva se doveva difendersi. La scorse sotto la borsa. Merda! Di nuovo. Non c’era verso che riuscisse a prenderle entrambe. Grugnendo per il dolore sempre più intenso dietro gli occhi cercò di strattonare un’ultima volta il borsone, ma non aveva più forze, quindi avrebbe dovuto lasciarlo lì.
E se fosse rimasto in macchina anche lui? Era stanco e l’idea era davvero allettante: appoggiarsi al sedile e magari aspettare che qualcuno di passaggio lo aiutasse. Chiamare l’ambulanza? La polizia? Cristo, persino una cella gli appariva invitante in quel momento. Merda! Doveva uscire da quella scatoletta. Chiuse un secondo gli occhi e si concentrò, poi, contorcendosi e spingendo, riuscì finalmente ad aprire il finestrino del passeggero e a issarsi sullo sportello ammaccato. Una volta fuori si trovò catapultato in un inferno bianco. La bufera di neve era diventata una vera e propria tormenta negli ultimi minuti e minuscoli proiettili di ghiaccio gli colpivano e pizzicavano ogni centimetro di pelle esposta. Era scappato con nient’altro che i vestiti che indossava quando era stato scoperto: un maglioncino leggero e una maglietta erano stati infatti più che sufficienti a tenerlo caldo nell’ufficio. Era stato colto di sorpresa in ogni senso. Ignorando i dolori e i doloretti che lo tormentavano ovunque, ricordò come la macchina fosse scivolata indietro lungo la collina. Si fidò del fatto che il muso puntasse verso la cima per scegliere la direzione verso cui camminare. Fintantoché si fosse arrampicato e avesse seguito la vecchia strada sarebbe certamente arrivato alla cabina, prima o poi.
Barcollò quando il suo piede colpì un albero caduto che ostruiva il passaggio, con ogni probabilità l’oggetto inamovibile contro cui aveva sbattuto. Il veicolo che aveva scorto prima era un grosso Suv 4×4 nero, ma la neve che gli vorticava attorno al viso rendeva difficile scorgerne i particolari, così lo ignorò e continuò ad arrampicarsi passo dopo passo su per la montagna. Si sarebbe dato dieci minuti per raggiungere la baita, poi avrebbe usato le poche facoltà che gli erano rimaste per accovacciarsi da qualche parte e aspettare che la tormenta passasse. La cosa positiva era che con il calo della temperatura corporea anche il sanguinamento sarebbe diminuito. L’unica cosa positiva. Si stava congelando: tremava, non sentiva più le estremità e a ogni passo aveva la sensazione che il suo piede pesasse più del piombo. Ho camminato dieci minuti? Mi sono fermato? Dove sono? In più di un’occasione si trovò in mezzo ai rami e si rese conto di aver lasciato la strada, una volta cadde addirittura nel fosso che costeggiava il lato sinistro. Con la neve che ormai gli arrivava alle ginocchia e che continuava inesorabilmente a salire, si trovò a chiedersi se potesse permettersi di sedersi e riposare.
La spossatezza lo svuotava di ogni energia. Se mi siedo qui, la neve mi coprirà come una coperta e starò al caldo. Ma erano pensieri pericolosi. L’unica cosa da fare era continuare a salire e salire. Sbucò da dietro una curva e ancora non vide altro che bianco. Sfinito e ormai insensibile a tutto, si fermò barcollando.
Ho fatto il mio dovere; ho convinto tutti di tutto e ho mentito per restare vivo. Non c’è bisogno che faccia altro. Owen ha tutto quello che serve per prenderli, per trovare il legame. Nessuno ha più bisogno di me. Devo solo chiedere scusa e chiarirmi con una persona. Jake, mi dispiace.
Il pensiero che Jake non venisse mai a sapere la verità, il pensiero di non vedere mai più l’uomo che aveva strappato via parte della sua corazza ed esposto ciò che si nascondeva sotto, fu come una scossa elettrica. Sarebbe arrivato a quella cazzo di cabina! Avrebbe inserito la blindatura, si sarebbe scaldato, avrebbe mangiato, si sarebbe rimesso e avrebbe preso le medicine per far andar via quel dolore al braccio. Avrebbe fatto tutto quello che serviva e poi si sarebbe consegnato. A Manny piaceva. Gli era piaciuto. Magari sarebbe bastato che restasse lì e facesse sapere al Santuario dove si trovava. Magari Nik o Dale sarebbero venuti a prenderlo e l’avrebbero riportato alla base. Cristo, magari il Santuario avrebbe potuto proteggerlo finché tutto quel casino non si fosse calmato. Come no, l’avrebbero aiutato sicuramente! Dopo quello che aveva fatto a tutti loro e a Jake in particolare, avrebbe potuto dirsi fortunato se Manny gli avesse pisciato sopra nel caso fosse andato a fuoco.
Un passo dopo l’altro continuò a salire finché andò a sbattere dritto contro un albero. Aspetta. Non è un albero, è uno steccato. Possibile? Costringendo la sua mente esausta a cercare lo steccato nell’immagine della baita che conservava nei recessi della memoria, raccolse ogni granello di energia residua e barcollò verso sinistra.
Prima o poi avrebbe trovato un passaggio. Eccolo. Uno spazio attraverso cui entrare. Aggrappandosi all’ultimo palo, si raddrizzò dando le spalle al bosco. Nei suoi ricordi la cabina avrebbe dovuto trovarsi a una decina di metri, ma non riusciva a vedere niente attraverso i vortici ghiacciati. Dieci metri davanti a lui… dritto. Trenta passi. Semplice. Poi due gradini, il portico e finalmente sarebbe stato fuori dalla neve. I passi bruciavano come fuoco lungo le sue gambe. Provò a contare ma niente aveva più un senso ormai.
Trovò i gradini e cadde in ginocchio, imprecando a voce alta per il dolore allucinante che gli percorreva i muscoli. Spostando le mani sulla neve, si aggrappò al corrimano. Un altro po’ e sarebbe stato al sicuro. La luce lo inondò all’improvviso e anche attraverso la foschia riuscì a scorgere una figura e sentire le sue urla, le parole smorzate.
“Merda! Che cazzo succede?”
Un paio di braccia forti lo sollevarono e lo costrinsero a lasciar andare il corrimano, strappandogli un grugnito quando le sue dita si staccarono a forza dalla presa. Non riusciva più a stare in piedi. Era al capolinea. La luce lo inghiottì.
“Blindatura,” riuscì a dire. “Chiudici dentro.” Non importava chi fosse quella persona. Lo aveva fatto entrare e, se quello era il vecchio Santuario uno, dovevano blindarlo. Ripeté le parole ancora e ancora e alla fine sollevò lo sguardo sull’uomo che lo aveva soccorso. Occhi blu dallo sguardo preoccupato. Occhi arrabbiati. A quel punto perse la battaglia contro la coscienza e si lasciò andare.
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